Con la costituzione del Regno d’Italia, il Paese era entrato nel novero delle potenze europee.
Interessata a mostrarsi ben inserita nello scacchiere internazionale, la diplomazia italiana manifestò il suo interesse per un accordo di collaborazione fra stati sottoscrivendo subito la Convenzione di Ginevra, varata il 22 agosto 1864: I militari feriti ed malati saranno raccolti e curati, a qualsiasi nazione appartengano. […] Saranno rimandati al loro paese coloro che dopo guariti saranno riconosciuti incapaci di servire. Gli altri potranno essere ugualmente rimandati, a condizione di non riprendere le armi durante la guerra. Le evacuazioni col personale che le dirige saranno protette da una neutralità assoluta [Art.6].
Nel frattempo, nei mesi precedenti la firma della Convenzione da parte di re Vittorio Emanuele II, sul fronte interno aveva preso il via una campagna di mobilitazione patriottica che raccoglieva le risorse del volontariato e dell’associazionismo per consolidare il processo di nazionalizzazione degli italiani attraverso interventi umanitari. I Savoia giocarono un ruolo molto importante diventando i garanti di tali istituzioni che rappresentavano l’unificazione nazionale, fra le quali spiccò l’Associazione di soccorso ai militari feriti e malati in tempo di guerra, fondata dal medico Cesare Castiglioni subito dopo la Battaglia di Solferino con il nome di Associazione medica italiana con l’intento di allargare la sfera di competenza della medicina per addestrare personale civile alla cura dei feriti di guerra. Si creò così un sodalizio che vide la luce a Milano il 31 maggio 1864 e che andrà a consolidarsi nelle due settimane seguenti: il 15 giugno dello stesso anno, sempre nel capoluogo lombardo, la Croce Rossa Italiana nasce con il nome di Comitato dell’Associazione Italiana per il soccorso ai feriti e ai malati di guerra, quella che noi oggi conosciamo appunto come Croce Rossa Italiana, il cui padre sarà proprio Cesare Castiglioni.
Nei primi mesi fu proprio quel nucleo a dare un’impronta al progetto formulando un regolamento che però non prendeva in considerazione la partecipazione femminile. Con il passare del tempo, l’Associazione divenne una realtà più stabile e articolata, in grado di raggiungere una dimensione nazionale e di accogliere anche le donne. In occasione della guerra del 1866, Terza guerra d’indipendenza italiana contro l’Impero austriaco, tra i membri del sodalizio figuravano infatti anche molte signore dell’aristocrazia. Nel 1875 l’Associazione nominò Vittorio Emanuele II alto protettore, il principe Umberto presidente onorario e la principessa Margherita patrona della sezione femminile nominata Unione delle dame. Tuttavia, nonostante la nomina della principessa Margherita di Savoia a presidente onoraria, la direzione non promosse quelle azioni che avrebbero potuto avviare il decollo del settore.
Solo con l’ascesa al trono di Umberto I nel 1878, anche in Italia si prospettò un nuovo campo d’azione per le donne di casa Savoia. I compiti dell’Unione delle dame erano raccogliere fondi, preparare bende e biancheria per i feriti e provvedere all’educazione di un corpo di infermiere volontarie per mezzo di scuole speciali. Ma l’ultimo punto rimase a lungo su carta e vedrà la sua realizzazione solamente all’inizio del secolo successivo.
La Croce Rossa Italiana prenderà forma e corpo nel 1882 quando l’Associazione Italiana per il soccorso ai feriti e ai malati di guerra viene inserita nella «Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia». Il 30 maggio 1882, in seguito all’emanazione della legge n. 768 viene riconosciuta la natura giuridica di corpo morale all’associazione della Croce Rossa Italiana prevedendo, inoltre, che essa si dotasse di uno statuto approvato dalle autorità. Nel frattempo il conte Gian Luca Cavazzi della Somaglia, presidente della Croce Rossa Italiana dall’ottobre del 1886, si impegna a inviare le istruzioni necessarie ad avviare le pratiche per la istituzione di scuole per infermiere volontarie.
Sotto la veste di corpo morale la Croce Rossa Italiana partecipa nel 1895 alla Campagna Coloniale di Eritrea organizzando un ospedale da campo e dieci ambulanze di montagna, di cui due verranno distrutte nelle tragiche giornate di Adua. Tuttavia, nonostante la nobiltà dello scopo e il grande coraggio dimostrato dalle donne che anche da prigioniere furono in grado di curare i feriti di ambo le parti, non si erano ancora raggiunte quell’organizzazione e quell’efficienza richieste a un’associazione di quel tipo dal momento che non erano ancora previsti corsi di formazione per infermiere volontarie. Contribuì a tale svolta la guerra russo-giapponese (1904-1905) in occasione della quale l’opinione pubblica italiana rimase fortemente impressionata dalla partecipazione di donne ai soccorsi (secondo i dati ufficiali, 8.000 furono le infermiere russe e 3.000 quelle giapponesi). In questo frangente si fece strada una gentil donna che, grazie alla sua determinazione,
al suo intuito e al suo spirito organizzativo, avrebbe inquadrato le donne dell’Associazione in un corpo attraverso corsi di formazione specifici passando così alla storia come la fondatrice delle scuole per infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana: lei è Sita Meyer Camperio.
Finalmente l’obiettivo per cui Sita si era tanto battuta sembrava raggiunto. A Milano tutto era pronto per l’apertura della prima scuola per infermiere della Croce Rossa Italiana, prevista per la metà di gennaio del 1907. La formazione prevedeva due tipi di corsi, uno festivo e l’altro feriale la cui durata era di cinque mesi, dei quali i primi quattro dedicati alle lezioni teoriche e l’ultimo alle esercitazioni pratiche. All’atto dell’iscrizione si richiedeva l’adesione alla Croce Rossa Italiana e l’impegno morale a essere pronte in caso di guerra o di sciagure. L’insegnamento si sarebbe svolto presso l’Ospedale militare e si sarebbe concluso con un esame abilitante, con il rilascio di un attestato e una medaglia di riconoscimento. La Camperio inoltre fu la promotrice della scuola di Roma patrocinata dalla Regina Elena, consorte di Vittorio Emanuele III, inaugurata il 9 febbraio 1908, data che segna ufficialmente la nascita del Corpo delle Crocerossine.
I corsi tenuti nella Capitale favorirono l’apertura di altre scuole in tutta Italia: la leva di infermiere composta da dame e principesse reali, incarnando la modernità attraverso la ricerca di una diversa identità sociale e di piccole sfide nei confronti dei pregiudizi e della morale corrente, andò a preparare il terreno alla nuova condizione in cui si sarebbe trovato l’intero universo femminile negli anni del primo conflitto mondiale.
In 160 anni Croce Rossa Italiana si è trovata di fronte alle più grandi prove da affrontare in territorio nazionale e internazionale, tenendo sempre alta la bandiera dei Sette Principi: Umanità, Imparzialità, Neutralità, Indipendenza, Volontarietà, Unità, Universalità.
Croce Rossa Italiana è stata presente e ha combattuto in prima linea quando l’Italia e il mondo intero si sono trovati a vivere all’improvviso una delle ore più buie, fronteggiando coraggiosamente la pandemia da Covid-19. Gli Uomini e le Donne di Croce Rossa Italiana si sono messi a disposizione dei più bisognosi, dei più vulnerabili, di chiunque avesse necessità di un aiuto.
Quest’oggi il nostro pensiero va soprattutto a tutti coloro che hanno perso la vita nel momento in cui essa veniva messa a disposizione del prossimo.
«Quello di oggi è un compleanno molto speciale», dichiara il Presidente della Croce Rossa Italiana Rosario Valastro, «in cui celebriamo la storia di questa nobile Associazione e, con essa, le storie di milioni di Volontarie, Volontari e Dipendenti che da oltre 160 anni la animano,
prendendosi cura, in Italia e all’estero, delle persone più vulnerabili forti di quella Umanità che, in oltre un secolo e mezzo, ha saputo adattarsi a nuove sfide, a trasformazioni culturali, al progresso scientifico, ai cambiamenti climatici e, di conseguenza, ha saputo trovare risposte sempre nuove».
Autore articolo: Vol. Erika Baini